martedì 16 luglio 2019

Stratford on Avon. In cucina ( 4)

Dormivamo quindi nell'ampio seminterrato. La stanza da cui si accedeva nella nostra camera conteneva tante cianfrusaglie. C'erano cassetti pieni di rose artificiali, portacandele in ottone e altri addobbi. E in un cassetto a vista, stipate una sull'altra, tante scarpe femminili. Erano i sandali estivi della padrona. Tutti uguali. Tutti dello stesso colore beige e tutti dello stesso numero. Una cosa davvero strana.Una cosa misterosa  a cui tentavamo di dare dei significati, senza riuscirci.  E  neanche potevamo chiedere. Un pò per la lingua che non conoscevamo, un pò per non fare la figura delle provincialotte a spasso per il mondo. In fondo, su, che sarà mai se una si compra almeno venti paia di scarpe tutte uguali? Insomma quel mondo misterioso, fatto di scarpe, di indumenti e di posate luccicose, ci affascinava e intrigava. Era come se osservando quegli oggetti  riuscissimo ad entrare nell'animo di gente molto diversa da noi. Che apparteneva  a un mondo diverso, per cultura e tradizione. Un mondo molto più ricco del nostro. Di secoli. Cosa che si percepiva ovunque per il gusto raffinato con cui era stato arredato l'hotel e da come era tenuto il parco, con le centinaia di rose antiche che circondavano la casa e che vedevi ovunque ti girassi e affacciassi. La finestra grande della cucina, sopra il lavello, per esempio ne era ampiamente incorniciata. E ne potevi godere in tutta la loro bellezza lavando le pentole dei pasti. Bella consolazione, direte. Si si, Solo le pentole, però.  Le stoviglie no. Piatti e bicchieri venivano dirottati in un'altra stanza, attigua alla cucina, dove campeggiava il capitano Daisy, l'addetta al lavaggio che operava indossando un abitino da lavoro in cotone vichy a quadretti bianco e rosa. . Guai ad avvicinarsi alla sua postazione di lavoro. Lei apriva e chiudeva le porte delle washing machines, con lo stesso piglio di un comandante che apre e chiude le porte degli aerei o delle navi.Una questione di vita o di morte. Se ti avvicinavi un pò di più al suo spazio, ne subivi irritate ramanzine che uscivano da labbra strette che tenevano sempre in bilico sul lato destro della bocca la sua sigaretta al mentolo, perennemente accesa. Potevi solo bearti, tanto per dire, del vapore che usciva da lì e del profurmo del detersivo, usato a quintali. Stesso profumo e stesso massiccio uso che facevamo noi  per  le pentole.    Pentole e padelle come dicevo erano appannaggio nostro e della padrona, che ci aveva istruito su come lavarle. Si, vabbè. Più o meno, insomma. Perchè si, le immergevi nell'acqua saponata, ma poi le dovevi mettere direttamente a scolare. Che cosaaa? chiedemmo senza articolare e senza far uscire alcun suono dalla bocca.  Nel senso che...meglio non chiedere. Ma come... non si ripassano sotto l'acqua corrente? Never. Never. Ma non si poteva accettare. Noi che venivamo da un paesino sperduto del Lazio avremmo potuto mai digerire  una simile cosa dagli oltremanica? Nulla da fare. Derogammo subito agli ordini e alle istruzioni impartiteci con determinazione e amore. Fluff...pentola in acqua. Su dalla schiuma, e....pollice e indice sulla manopola, tentando di girare  in assoluto silenzio il rubinetto per farlo sgocciolare il meno possibile, ma una furibonda Mrs Tag arrivata da dietro, chiuse come una furia quel piccolo e fresco gocciolio, accompagnandolo con un NOOOO, che ancora sento nell'aria, dopo anni e anni. Boh.Valli a capire gli inglesi... (continua)



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